“La mente è causa di schiavitù e allo stesso tempo è la porta che conduce alla liberazione.”
(da: MINDFULNESS di Joseph Goldstein – Ed. Ubaldini)
La porta della saggezza
La consapevolezza, la terza qualità della mente cui il Buddha si riferisce, è espressa in temine pali “sati” e occupa un posto centrale in tutte le tradizioni buddhiste. E’ ciò che rende possibile qualunque cammino spirituale. La consapevolezza ha diversi significati e funzioni che sono essenziali per lo sviluppo della saggezza. Comprendere questa ricchezza di significati apre nuovi orizzonti all’efficacia che può avere nel trasformare la nostra vita.
Attenzione al presente
Secondo l’accezione più comune consapevolezza è attenzione al presente, presenza mentale, vigilanza. E’ l’opposto della distrazione. Quando ci sentiamo smarriti o incerti sul da farsi possiamo sempre tornare all’esperienza del momento presente….La presenza mentale, sotto questo aspetto, è quella qualità di pura attenzione, di consapevolezza non interferente, di cui facciamo esperienza quando ascoltiamo un brano musicale. Quando ascoltiamo la musica, la mente è aperta e ricettiva, non cerca di controllare cosa verrà dopo, né riflettere sulle note appena risuonate. L’arte di ascoltare reca un grande potere; è questa qualità ricettiva che permette alla saggezza di emergere. …..Ad un altro livello, che spesso non associamo alla consapevolezza, sati significa “ricordare” e si riferisce alla pratica della riflessione saggia che ci sostiene e ci da impulso sul sentiero del risveglio. Nei testi, gli oggetti del ricordo sono le virtù del Buddha, del Dharma e del Sangha, la propria generosità e condotta morale..Ricordare le qualità del Buddha, del Dharma e del Sangha suscita un senso di fiducia e di sicurezza, ponendo i nostri problemi in un contesto più ampio,…. ci ricorda che il risveglio è possibile anche per noi. La consapevolezza come ricordo include anche la riflessione sul nostro impegno a mantenere una condotta etica (sila in pali). Magari non lo facciamo spesso, ma quando prendiamo atto della nostra pratica di sila la fiducia in noi stessi e l’autostima crescono. Ci ricorda che la mente può essere educata e che possiamo discernere le azioni salutari da quelle che non lo sono.
(da : Attenzione saggia, attenzione non saggia di Corrado Pensa – Ed.Magnanelli)
Attenzione saggia, attenzione non saggia
Se ora ci volgiamo all’insegnamento del Buddha, ci imbattiamo nel grande discorso sui fondamenti dell’ attenzione, il Satipatthana Sutta, questo discorso di cui esistono due versioni importanti, una più lunga e una più breve, esordisce in maniera molto forte dicendo che la coltivazione dell’attenzione, la coltivazione di sati, è la via diretta al superamento della sofferenza e all’accesso all’incondizionato. Quando il Buddha parla della consapevolezza diretta al corpo (e la consapevolezza al respiro è una forma di consapevolezza o attenzione portata al corpo) usa l’espressione: “Stiamo attenti al corpo nel corpo”. Che cosa vuol dire questa espressione? Stare attenti in maniera assolutamente diretta, senza intermediari, alle sensazioni fisiche. Il “corpo nel corpo” è diverso dal corpo nella mente. Quest’ultimo sarebbe un pensare al corpo, e non il volgere la consapevolezza al corpo. E’ un enfasi, un’espressione che vuole sottolineare molto questa maniera diretta, questa immediatezza, questa intimità di contatto tra consapevolezza e il suo oggetto….il Buddha parla di portare la consapevolezza sulle vedana, dice: “Sulle vedana nelle vedana”….E’ un combaciare. A volte nei testi si parla del sorgere della sensazione spiacevole e del co-sorgere della consapevolezza: sono simultanee. Questa è la sensazione nella sensazione……E’ inutile dire quanto la consapevolezza, l’attenzione non giudicante, applicata alle sensazioni, sia trasformante.
(da: Lo Yoga oltre la Meditazione – Sugli Yoga sutra di Vimala Thakar – Ed. Ubaldini)
Capitolo I
Vale veramente la pena di leggere quei dialoghi, l’edizione è del 1996 e gli autori sono Rupert Sheldrake e Matthew Fox. Rupert è uno scienziato, un biologo e Matthew un monaco. Ambedue hanno espresso un concetto significativo e cioè che la materia contiene la memoria, e non vi è nulla che sia materia inanimata. Nella materia vi è una conoscenza nesciente, una memoria inconscia. Perciò non sareste sorpresi se vi dico che nelle specie non umane che hanno preceduto l’avvento di quella umana vi è la capacità di vedere, conoscere, memorizzare ma, forse, dico io, non vi è la consapevolezza dell’interazione, pertanto i non umani devono affidarsi ai meccanismi istintuali delle reazioni nei confronti della natura e di altre creature. Essi si affidano totalmente ai modelli dettati dall’istinto e sono liberi dalla conoscenza e dalla memoria. Al contrario , la libertà di cui gode l’uomo è quella di essere consapevole dell’atto conoscitivo e della sua interazione con il mondo esterno. La sofferenza fisica è inevitabile. La specie non umana passa attraverso il dolore fisico e le conseguenti reazioni istintive, ma dukkha o le tensioni dei klesa (cause della sofferenza) sono il privilegio della materia mentale con cui è emersa la specie umana. Essere capaci di soffrire non è uno scherzo, è una responsabilità evolutiva. Siamo come specie nell’evoluzione. La consapevolezza di sé, la qualità del contenuto della mente universale, la capacità di vedere e di essere consapevoli allo stesso tempo, potrebbe porre fine alla sofferenza, sempre che rimanga a livello di purezza virginale; ma questa capacità di immagazzinare conoscenza e memorizzare le esperienze e i modelli di comportamento diventa un fardello che pesa sulla materia mentale universale, un fardello che si riflette sull’atto del vedere, sul risultato della conoscenza e del conosciuto. La scienza dello yoga viene alla conclusione che drig sakti, l’energia della vista, è stata contaminata dalla conoscenza e dalle esperienze trattenute nella memoria……….Dunque, la consapevolezza di sé, che è la facoltà particolare o il dono della natura nel processo evolutivo della specie umana, è stata abusata e usata in maniera scorretta, diventando causa di sofferenza e di schiavitù.